A.A.A.: cercasi partecipazione disperatamente

Pubblicato il da Assemblea Permanente per la Partecipazione Livorno

 "La partecipazione non è un pranzo di gala"

Partiamo da una notizia abbastanza "fresca": il 16 settembre il Consiglio Regionale toscano ha finalmente nominato (dopo alcuni mesi di "impasse") il politologo Rodolfo Lewanski alla guida dell'Autorità regionale per la partecipazione. Con questa nomina la Legge sulla Partecipazione toscana è entrata nella sua fase pienamente operativa.
In attesa della nomina dell'Autorità, nei mesi scorsi, l'Ufficio Partecipazione della Regione aveva ricevuto le prime proposte di apertura di processi partecipativi.
Ricordiamo che la Legge Regionale in questione (l.r. n. 69/2007), entrata in vigore a fine dicembre 2007, è la prima e finora unica legge che disciplina la partecipazione  e la prevede concretamente come "forma ordinaria di governo", assieme ad una serie di procedure e forme.
La legge individua due filoni di percorsi partecipativi: il dibattito pubblico per i grandi interventi di carattere regionale (seguendo il modello del "debat public" francese) da un lato, e tutte le altre forme di partecipazione a livello locale (siano essi promossi dagli enti locali, dai cittadini, dalle associazione o da altri soggetti) dall'altro.
Arbitro di tutto l'Autorità regionale: spetta a questo organo monocratico dare il proprio parere su tutto, dall'ammissibilità e l'entità del finanziamento alle domande relative a progetti di processi partecipativi a quella relativa al dibattito sulle grandi opere.
Insomma, una figura chiave attorno a cui ruota l'intera legge. Questo potere suscita varie perplessità, consolidate anche da alcune riflessioni: la prima è se tale figura, nominata appunto dal Consiglio Regionale toscano, sia in grado di garantire effettivamente la neutralità.
Come ha recentemente osservato lo scrittore Alberto Asor Rosa "un arbitro non può essere scelto dai giocatori, cioè da chi governa". Inoltre già così come è strutturata la legge sembra decisamente poco equilibrata: per i grandi dibattiti in pratica si stabiliscono tempi certi e piuttosto brevi per organizzare e svolgere il dibattito pubblico.
Nel momento in cui viene avanzata la proposta di realizzare un intervento di grande impatto sul territorio (pensiamo ad un rigassificatore, autostrade, inceneritori, aeroporti...) l'Autorità può aprire un dibattito pubblico regionale che non può durare più di 6 mesi, e comunque alla fine sarà sempre l'Autorità a decidere.
Ci chiediamo come si possa mettere sullo stesso piano la capacità organizzativa e l'efficienza di un ente istituzionale con quella di un comitato o di una aggregazione di cittadini.
Ma il punto è proprio questo: la Legge deve favorire il "buon governo del territorio" e contrastare i rallentamenti e gli ostruzionismi dal basso.
Del resto non sembrano lasciare dubbi le parole dell'assessore regionale Agostino Fragai (il vero "deus ex machina" della Legge) espresse proprio in occasione della nomina dell'Autorità e riportate anche dal quotidiano Il Tirreno, il 17 settembre:

"Scopo della legge? Accelerare le decisioni sulle grandi infrastrutture. Le decisioni devono essere partecipate ma rapide".

Parole "agghiaccianti" che sembrano in parte annullare tutte le buone intenzioni espresse durante la fase progettuale della legge (ricordiamo, tra l'altro, che altro vanto della Regione Toscana è quello di aver fatto una legge partecipata, frutto di un percorso durato più di un anno in cui hanno partecipato anche i semplici cittadini toscani, pensiamo al Town Meeting di Carrara nel novembre 2006 con più di 500 cittadini coinvolti).
A parte il fatto che la Legge trova tra i propri stimatori anche il ministro Renato Brunetta, ci lascia sconcertati il fatto che il criterio della velocità venga associato a quello della partecipazione. Ma a ben pensarci tutto torna: ancora una volta viene calata dall'alto una sorta di gabbia, un sistema di regole e procedure comunque decise da chi governa e quindi per favorire e non certo per ostacolare il potere e il governo del territorio.
E così si cerca di istituzionalizzare la partecipazione, di fatto ingabbiandola e facendole perdere il suo vero significato.
Perché favorire e promuovere la Partecipazione significa in primis partire dal basso, dai cittadini che sempre più hanno perso il proprio ruolo attivo, di controllo, di critica, di proposta per chi sta in alto.
Ed invece di promuovere pratiche democratiche con obiettivi di inclusione sociale e di incremento del capitale relazionale, ripensando anche a nuove interazioni fra la democrazia rappresentativa e quella partecipata, si pensa piuttosto a consolidare criteri come la governabilità, l'efficienza e l'efficacia.
Ecco il vuoto da colmare: come coinvolgere i cittadini. Perché senza di essi non può esistere partecipazione. Dove per vera partecipazione intendiamo quella che si "misura" con i parametri della crescita della società civile (aumentare la consapevolezza, l'informazione, la capacità di critica e di relazione dei cittadini) e della trasformazione culturale della classe politica.
Figuriamoci poi se addirittura si cerca di ostacolare coloro che, in questi anni di dominio passivizzante, hanno portato avanti lotte e campagne antagoniste, rappresentando di fatto uno dei pochi esempi di cittadinanza attiva praticati sul territorio.
Pensiamo, giusto per rimanere in casa nostra, alla vicenda relativa al Rigassificatore di Livorno: da una parte migliaia di cittadini che da anni stanno portando avanti un percorso di opposizione ma anche di partecipazione, promovendo confronti e dibattiti, cercando quotidianamente inclusione e relazioni umane, e dall'altra amministrazioni sorde e cieche, che in nome di interessi e poteri "legittimati" dai ruoli istituzionali fanno finta di niente, neanche provano a confrontarsi e a spiegare le proprie ragioni (vedi referendum sempre negato).
E che neppure mostrano crepe dopo una sentenza (vedi TAR nel luglio 2008) dove, oltre ai soliti "vizi di forma", viene espressamente dichiarato che le amministrazioni locali non hanno "consentito alle popolazioni interessate dalla costruzione del rigassificatore di partecipare ai processi decisionali",  certe poi del ripristino della legalità con la sentenza successiva del Consiglio di Stato (guarda caso come a Vicenza per il Dal Molin...).
E pensare che il Comune di Livorno, nella persona del sindaco Alessandro Cosimi, è stato il primo comune toscano ad aderire e firmare il Protocollo d'intesa Regione - Enti Locali previsto dalla Legge Regionale sulla Partecipazione, di fatto riconoscendo la partecipazione come forma ordinaria di governo e l'accettazione volontaria delle procedure partecipative.
Del resto ci sono almeno due buoni motivi per giustificare tale adesione: il sostegno economico e il relativo finanziamento alle buone pratiche partecipative previsto dalla legge regionale e l'opportunità di farsi belli con un argomento diventato di "moda".
Come non pensare al tanto decantato progetto relativo alla ex Casa della Cultura, "Cisternino 2020", vero "gioiello" di spot pubblicitario e marketing (sorvoliamo sul fatto che il Comune sia stato "costretto" a cambiare rotta dopo che aveva già deciso cosa farci e a chi affidarlo...), usato dal sindaco e dal Comune per andare a convegni e seminari e mostrare quanto a Livorno sia stato fatto e si stia facendo per la Partecipazione (di fatto fino a ieri l'unico esempio di percorso partecipato era il progetto "Città Sicura" - percorsi di sicurezza partecipata- e quindi meglio sorvolare...)?
Insomma, la Legge Regionale sulla Partecipazione non fa che consolidare la sinergia Governo - Regione- Comune sulle grandi questioni: uno strumento in più per governare meglio, per essere falsamente ed opportunisticamente maggiormente "democratici", in realtà strumentalizzando e cavalcando le buone occasioni. Alla ricerca di grandi operazioni di immagine e per aumentare il consenso.
Del resto sembra la ricetta del presidente della Regione Toscana Martini: mostrare interesse ed attenzione per alcuni temi come la viabilità, l'energia alternativa, la tolleranza ed il razzismo, la partecipazione appunto ed altro ancora (vedi i Forum di San Rossore) e poi sconfessare con leggi, provvedimenti e delibere il tutto.
Altro che il bene comune: la Toscana non fa eccezione ad un quadro nazionale dove la politica è ostaggio dei poteri economici e tenta solo di guadagnare un po' di prestigio per presentarsi alle elezioni e poter dire: abbiamo fatto questo e quello.
Tanta patina e poca sostanza.
E questo modello è imitato anche a Livorno. Sicuramente nelle prossime elezioni il tema della Partecipazione sarà usato e strumentalizzato, di fatto svuotandolo di valore e significato.
Questa, in conclusione, l'unica vera strada da percorrere, alternativa a quelle intrapresa dall'alto: occorre ripartire dal territorio, dalla comunità locale, dai luoghi concreti e reali dove ci mettiamo in relazione con l'altro e dove possiamo fare società.
Il neocivismo, la cura degli spazi pubblici, la vera partecipazione non possono essere imposti per decreto e per volontà dall'alto, devono penetrare i luoghi della consapevolezza singola e collettiva, attraversando gli spazi irregolari dell'empowerement individuale e di comunità; così come ai bambini non si può imporre la lettura e la curiosità per i libri: se invece i libri divengono familiari, assumendo il sapore degli oggetti quotidiani, i bambini sapranno attraversarli con naturalezza, coscienti che quelle pagine fanno parte dei loro giochi e dei gesti naturali dei loro genitori.
Occorre l'impegno e la pratica quotidiana delle forme di partecipazione democratica con la consapevolezza dei limiti dei contesti politici e sociali, rivendicando con forza la scelta strategica della democrazia partecipata contro le derive moderate che la vorrebbero intendere esclusivamente come problema di ingegneria istituzionale.
Tenendo sempre in mente che la democrazia partecipata non è una tecnica, ma lo strumento che sostiene e che è sostenuto dal fare società plurale: da qui la necessità di un nuovo lessico del governo locale, un salto di paradigma nell'intendere il ruolo degli enti locali al tempo della globalizzazione e della competizione fra sistemi territoriali alternativi.
Certo oggi  inventarsi e promuovere effettivamente pratiche democratiche di partecipazione richiede molta più immaginazione e difficoltà di quanta ne sia necessaria per delineare i tratti di un'utopia.
E'fin troppo facile rintracciare nella storia, nel nostro recente passato e nel presente, esempi di quanto l'esercizio del potere politico propenda al decisionismo o, quantomeno, a concepirsi e porsi come amministrazione unidirezionale del potere: pensare pratiche diffuse di partecipazione democratica comporta uno sforzo d'immaginazione orientato a individuare luoghi intermedi fra il decisionismo, lo spontaneismo e le teorie di un centro urbano dominato da caratteri eterogenei e dalla paura e il disagio del confronto e della relazione, e con il consolidamento della pratica dell'indifferenza, della negazione e dell'esclusione.
E' il trionfo del soggetto isolato e passivo (lo "sciame inquieto" di Bauman) e della società liquida, dove pur proliferano miti e riti, giochi e feste "passivizzanti" che isolano gli individui inducendoli all'omologazione, ingenerando illusioni di condivisione e di autonomia.
E si torna al concetto espresso precedentemente, di iniziative calate dall'alto, finalizzate al marketing politico e mai accompagnate a una serie autocritica e a momenti di analisi di un contesto dove quotidianamente si opera in senso contrario rispetto alla sensibilità ed attenzione falsamente mostrata.
Non ci stupisce infine che la nostra città ed il partito egemone che la governa (assieme alla solita "rete" di amici ed affini)  organizzi una Festa della Costituzione, dove emerge proprio il concetto di Partecipazione.
Che come altri principi - lavoro, uguaglianza, non belligeranza ecc - viene quotidianamente messa in discussione ed inapplicata da quelli stessi soggetti che dicono di difenderla a spada tratta.

Ci vengono in mente le parole di Nanni Moretti: "povera Italietta fra orrore e folclore..."
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